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4/13/2016-

Struttura delle piante per il Verde Pubblico 

 

Le piante del Verde Pubblico devono essere belle, adeguate alla funzione e capaci di sostenere i disagi della strada. Per questo, e per ridurre le attese del confort alla città, devono presentarsi subito sufficientemente dimensionate e le radici preparate a sostenere il trapianto e sopperire alle necessità vegetative, che spesso si devono svolgere fra eccessi di luce e di calore.
Le maggiori difficoltà si presentano mentre le piante, sole sull’asfalto, arido e infuocato, devono strutturare una chioma che sia protettiva dagli eccessi. Ma tutto questo riesce solo se l’apparato radicale avrà ricevuto la necessaria preparazione. E pure se le radici saranno bene gestite in quella sede.
In Tecnica Vivaistica si parla di trapianti, da effettuare in vivaio, nelle prime fasi di sviluppo dei soggetti. Sono operazioni impegnative e costose, da praticare con rigore nei tempi giusti, e servono a frazionare e agevolare la disposizione dell’apparato radicale in un volume di terra contenuto. Ogni azienda ha il suo know-how, più o meno efficiente, più o meno economico. Ma dell’avvenuto compimento di questo processo educativo l’acquirente purtroppo riesce a saperne sempre poco. Deve fidarsi della professionalità dell’azienda, magari rendendosene conto visitando i vivai. Questo resta comunque il modo classico di coltivare in campo, su terreno fertile, profondo e drenante, procedendo a trapianti cadenzati, nel tempo e nei modi, come meglio si addice ad ogni singola specie. Basilare il rigore applicato alle operazioni.
La tecnica, storica del vivaismo italiano, è apprezzata dagli utilizzatori che hanno approfondito la cultura del Verde Pubblico come tedeschi e francesi. Questi ultimi, diffidenti con ragione, per eludere le possibili fraudolente semplificazioni della tecnologia, hanno anche preteso che le piante, prima della consegna e dopo la zollatura, trascorressero un periodo di tempo in contenitore. L’operazione si è rivelata sbagliata, per la riduzione dell’efficienza radicale che, dal fondo del contenitore, si propaga a buona parte del pane di terra agevolando aggressioni di parassiti diretti e facoltativi. Le ragioni sono da attribuire alla difficoltà di smaltimento degli eccessi di umidità. Le reazioni attive delle radici avvengono meglio se il pane di terra resta fresco ma bene aerato, solo contenuto da materiali protettivi dell’eccesso di prosciugamento.
La tecnica, per la presenza della terra, non è gradita dai paesi di cultura islamica. Per questa ragione e per altre, come risparmiare sui costi e fornire piante più facilmente parcheggiabili nei centri di commercializzazione, il vivaismo si è orientato sulla coltivazione in contenitore anche delle piante con seri impegni di carriera.
La coltivazione in contenitore prevede l’impiego di substrati fertili, minerali e vegetali. Le piante, provenienti dalla coltivazione in piena terra, collocate a radice nuda. La tecnica, valida per le piante arbustive di medio piccolo sviluppo, per i soggetti conformati ad albero può risultare sufficiente solo se si procede a rinvasi che seguono scalari lo sviluppo delle radici. L’uso di contenitori sovradimensionati porta ad uno sviluppo irrazionale delle radici e a facili ristagni di umidità dalle conseguenze sempre inopportune. Presente che le piante non possono sostare nei contenitore più di una vegetazione, ad evitare che si attivi il processo di spiralizzazione delle radici che, al momento del trasferimento, costringerebbe l’operatore, responsabile, a amputare e sparpagliare quelle intrigate, altrimenti incapaci di uscire da quella spirale che impedisce lo sviluppo.
Nei vasi fessurati del commercio, la spiralizzazione non si verifica, ma le pareti troppo aerate riducono l’utilizzazione del substrato per due e più centimetri dalla parete aerata. Il problema forse è dovuto al modo di irrigazione non ancora messo a punto per questa tipologia di coltivazione.
Da un po’ di tempo è in atto, l’uso di sacchi di tessuto poco traspirante. La tecnologia sembra promettente, economica e valida, soprattutto accontenta la committenza che non vuole piante accompagnate dalla terra. Resta da verificare quanto la natura del substrato sia associabile ai caratteri del terreno presente nella zona dell’impianto stabile.
La miglior tecnica per avviare le piante al trasferimento resta quindi ancora quella classica, che ha distinto l’antica produzione vivaistica di Pistoia, apprezzata in Europa e dovunque si fanno impianti arborei con criteri professionali. Se vogliamo, visto l’impiego delle macchine, la zollatura standard, può essere integrata da un “invito alla radicazione profonda”, capace di esaltare l’attività delle radici e conferire alla pianta un ancoraggio pronto, saldo e durevole. La ripresa vegetativa delle piante, avvantaggiate dal provvedimento, risulta molto più pronta e progressiva, anche in condizioni ambientali poco favorevoli. La tecnica consiste nel tenere la pianta in piedi, con il pane di terra racchiuso in un film scuro, poco poroso (tipo Plant Plast), lasciato aperto sotto e appoggiato su terreno smosso. Per attivare nuove radici fittonanti è sufficiente una sosta di quaranta giorni, ma le piante acquistano vantaggio anche da tutta la stagione vegetativa, sostenuta dall’irrigazione a goccia e normali fertilizzazioni.
Nella fase d’impianto stabile, il pane di terra posizionato correttamente, si troverà con le radici superficiali nel terreno più caldo e aerato, come conviene, mentre nella parte più profonda le radici attivate, pure amputate, trovano le risorse idriche più costanti; nel contempo avviano un ottimo ancoraggio naturale nel punto più conveniente per la stabilità presente e futura. Pertanto nemmeno saranno necessari durevoli e costosi ancoraggi. In seguito le radici di fondo e superficiali potranno prodursi in una radicazione attiva e grippante, seguendo i percorsi del suolo fertile che sarà disponibile.
La radicazione profonda riduce molto i problemi di attecchimento nei nuovi impianti e consente la ripresa vegetativa più rassicurante. Attualmente è la tecnica più costosa, ma anche accreditata, conosciuta per evitare la “crisi da trapianto” che tanto penalizza le piante della urbanizzazioni, in percentuale di attecchimento, in omogeneità di sviluppo, in stabilità di ancoraggio radicale e del colletto. È auspicabile una maggiore considerazione del principio per attivare la richiesta e la produzione di soggetti concepiti trasferibili. 

di Miro Mati

www.georgofili.info


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